La stratificazione in architettura
La stratificazione in architettura è un fatto curioso, a volte sottovalutato. Ho visitato la cappella palatina di Aquisgrana, che ne costituisce un esempio emblematico. Una serie di gemmazioni successive, a partire dall’ottagono che Carlo fece costruire su un modello non frequente ma caro alla tradizione cristiana, e che oggi non vengono praticamente percepite dall’utente, anche evoluto.
Per fare un paragone coraggioso, sarebbe come se la “divina commedia” che leggiamo oggi, fosse la manipolazione di una serie di autori che, a seconda del tempo, della necessità (variabile presente forse solo in architettura), del gusto, avessero aggiunto al testo originale contributi personali, integrando contenuti diversi per forma e linguaggio.
Questo aspetto, soprattutto nella stratificazione compiuta fino all’Ottocento, quasi non si riconosce, se non da occhi molto attenti, probabilmente per diverse ragioni. Me ne vengono in mente due: la prima è la capacità, del manufatto architettonico, di assorbire al suo interno questi diversi contributi, soprattutto se distribuiti in un arco temporale vasto, trasformando la sua forma originaria in un’altra, a volte più completa o interessante, o utile. È evidente che un aspetto non trascurabile sia la capacità del progettista nel gestire l’addizione.
La seconda sta nel fatto che, fino al l’avvento delle avanguardie, l’architettura è sempre stata irregimentata all’interno di un sistema tradizionale, con le sue leggi e le sue regole. Per quanto le si intendesse trasgredire, si rimaneva sempre all’interno degli elementi grammaticali già noti che, ai soli occhi attenti od esperti, emergevano per ragioni di ricombinazione sintattica.